lunedì 13 maggio 2013

Il Grande Viaggio

Sono stata abbastanza vaga, finora, su questo fatidico viaggio che dovrebbe essere il centro del blog. Trovavo giusto presentarmi, prima, farmi conoscere in qualche modo, e ho finito per dilungarmi.
Ma è bello così no? Qualsiasi cosa, perchè abbia un valore, bisogna conoscerla. E questo non è un blog di viaggi: è un blog di VIAGGIO, il mio, e di chiunque volesse condividerlo con me.
Adesso che i convenevoli sono stati sbrigati, è giunto il fatidico momento. 

Come al solito la prenderò alla lontana, perché possiate capire le mie motivazioni e le mie paure.
Vi ho già detto come, fin da piccola, sentissi il bisogno di andare. Non sapevo dove, non sapevo perché, ma ero in cerca di qualcosa che a casa mia non trovavo. Ci sono persone che stanno bene ovunque le metti. Altre che non si pongono nemmeno il problema. 
Io no: io ero in cerca.

I miei viaggi mi piacevano da matti, adoravo la sensazione di libertà e di ansia nel prendere per la prima volta un treno da sola, o la sorpresa di vedere una nuova città, e anche lo stupore del conoscere gente nuova, con accenti strani e modi di fare diversi, e pensare "questa cosa a casa mia non succede".
Restavo sempre vicina, ma sognavo l'"esotico"

La mia generazione è cresciuta più americana che italiana: i telefilm con cui siamo cresciuti, la musica che abbiamo ascoltato fino a non poterne più, i film che ci hanno fatto emozionare e in cui ci siamo immedesimati...ci pensate mai? A quale di queste cose "made in Italy" riuscite a pensare? Siamo stati bombardati dalle immagini di quelle high school americane con gli armadietti e le fontanelle, con le cheer leaders e le squadre di football, con i balli di fine anno e i professori che assegnavano compiti assurdi. Questo c'era nel nostro immaginario.
Invece la nostra realtà era fatta di scuole con l'intonaco scrostato, compiti monotoni e non interattivi, feste di fine anno in cui al massimo si portava una coca-cola in classe per un brindisi.

Io agognavo quella vita da film! Mi chiedevo sempre se fosse tutto vero, se quelle immagini esagerassero o se invece, laggiù, dall'altra parte dell'oceano, ci fossero veramente adolescenti che crescevano come si vedeva in tv. I miei idoli? The O.C., Smallville, Hilary Duff, Streghe, e chi più ne ha più ne metta. Il mio primo contatto con l'America, grazie alla televisione, è stato probabilmente più precoce di quelli che ho avuto con l'Italia.
E' stato allora che ho iniziato a coltivare quel sogno. Quanti anni avrò avuto? Non saprei nemmeno dirlo...Hilary Duff probabilmente lo guardavo quando ancora non andavo nemmeno alle medie! 

Durante il mio secondo anno di liceo, un'amica di mamma le parlò di un'associazione chiamata Intercultura, che organizzava scambi internazionali tra ragazzi e con la quale chiunque poteva partecipare come famiglia ospitante, e ritrovarsi in casa per qualche mese un adolescente inglese, americano, cinese o australiano. L'idea ci piaque subito e cominciammo le pratiche: sarebbe venuta a stare da noi per 6 mesi una ragazza della Nuova Zelanda.
Cavolo, nemmeno sapevo dove diavolo stesse la Nuova Zelanda! E quella ragazzina che sarebbe arrivata, una liceale diciassettenne, sarebbe venuta fino in Italia, da sola, per sei mesi, a stare con una famiglia sconosciuta...quanto doveva essere coraggiosa??

Non lo era. Non lo era affatto! E' stato una specie di incubo all'inizio: questa povera creatura spaventata arrivava da un paese in cui ci sono più pecore che esseri umani e si era ritrovata improvvisamente a Milano; io e la mia famiglia parlavamo un inglese un po' tentennante, lei non sembrava assolutamente in grado di imparare l'italiano (in effetti, in sei mesi non ha imparato molto) e praticamente ogni giorno vagava per casa disperata e piangeva come una matta perchè le mancava la sua famiglia.
Rimase con noi per 6 mesi. Non riesco a ricordare con precisione come si evolse il nostro rapporto, dopo quanti mesi smise di essere un'estranea in casa mia e si trasformò in mia sorella, ma così avvenne. Era mia sorella, una sorella che parlava una lingua differente e con cui non avevo nulla in comune, ma era mia sorella. 
Ma non è questo l'importante, almeno non per lo scopo per cui scrivo. Non è come lei influenzò me e la mia vita. Ciò che conta è come quell'esperienza cambiò lei.

All'inizio non me ne ero resa conto, e nemmeno lei credo. Era arrivata piccola e confusa, come è normale a diciassette anni, chiaro, e non era stata troppo brava ad affrontare le difficoltà di quell'esperienza. Poi con il tempo aveva fatto le sue amicizie, aveva cominciato a capire qualcosa di italiano (molto poco, credetemi...in casa l'inglese era d'obbligo per non scatenare crisi di pianto), a uscire, a conoscere l'italia e i suoi aspetti positivi. Nella vita aveva una grande passione per la moda, anche se personalmente io trovavo il suo stile piuttosto discutibile (ma d'altro canto è un mondo a cui sono sempre stata estranea e disinteressata). Le piaceva mangiare, tanto, ma come a qualunque altra persona. Era giovane, confusa, insicura.

Adesso siamo ancora in contatto. Tutt'ora so di avere una sorella dall'altra parte del mondo, e anche se non la sento spesso so che è lì, e che quell'esperienza ci ha reso unite per sempre. E' tornata in Italia, qualche volta, e ogni volta vederla era un'esperienza. Tutta la sua vita, la sua formazione, la sua carriera, sono state sconvolte dall'esperienza in Italia: ha abbandonato il settore moda (anche se continua a vestire in modo stravagante) e ha scoperto di avere due vocazioni: la cucina, rigorosamente italiana, e la lingua...sempre quella italiana! Si è messa a studiarla in Nuova Zelanda, ha cambiato i suoi corsi di studi, ha iniziato a lavorare per una società di catering e preparato la tesi sulla cultura alimentare dell'Italia. E già questo è tanto, insomma, capire cosa vuoi fare della tua vita e in cosa sei brava. Ma anche il suo modo di approcciarsi all'intera esistenza è cambiato in modo epocale, e io sono fermamente convinta che anche su questo abbia influito pesantemente quell'esperienza. E' una delle persone più calme e pazienti che io conosca, ha iniziato a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, è tornata in Italia per specializzarsi e vuole tornarci prossimamente, non ha paura delle scelte nè dei fallimenti. E' sicura di sè, sempre, ed è in grado di portare con sè la sua serenità ovunque vada. Per me, è davvero diventata un esempio.

Non le ho mai chiesto direttamente quanto pensa che quell'esperienza possa averla fatta diventare ciò che è adesso. Forse non saprebbe nemmeno rispondermi. Ma io ho conosciuto quella bambina, e adesso ho la fortuna di conoscere questa donna matura, sicura di sè e affermata. E so, quando la guardo negli occhi, che lì dentro romba un motore alimentato da ciò che ha trovato in Italia.  
Dal giorno stesso in cui ripartì, seppi che avrei voluto fare un'esperienza come la sua.


Quando ero al terzo anno di liceo, mi arrivò a casa un catalogo EF...la conoscete? E' un'agenzia che organizza vacanze studio all'estero, probabilmente la più famosa. La ragazza neozelandese era ripartita da più di un anno, e io iniziavo a vedere i suoi cambiamenti nel tempo, anche se a distanza. Sfogliando quel catalogo, trovai una sezione che parlava di "anni accademici all'estero" e il mio cuore iniziò a battere più forte.
Non era come Intercultura, che non ti faceva scegliere la tua destinazione ma te ne dava una a caso: potevo scegliere. Potevo andare dove volevo davvero: in America.
Cominciai tutte le pratiche: avevo 16 anni e stavo per passare un intero anno in America. Era incredibile. Era un'esperienza che nessuno dei miei amici si sarebbe mai sognato di fare. E...faceva paura. Troppa paura...
Non so perchè, davvero, non me lo ricordo...ricordo solo che ogni motivo diventava una scusa per farmela sembrare una cattiva idea. Ogni volta che qualcuno ne parlava, mi saliva il panico. E decisi di mollare: "è troppo presto, c'è tempo" mi dicevo, e mi dicevano.

Passarono gli anni, e la quarta liceo non la feci in America ma nella mia solita scuola a Milano. Così anche la quinta. Si avvicinava il tempo delle scelte, del concretizzare i miei sogni, della "maturità"...ma chi si sente maturo a 19 anni?!? Come fai a decidere cosa fare della tua vita, quando per 5 anni hai studiato greco e latino e non hai idea di cosa significhi lavorare davvero? Mi riprese il panico: non sapevo cosa volevo studiare...non sapevo dove volevo studiare...sapevo cosa NON volevo, ma è stato da subito palese che andare per esclusione non è facile quando hai migliaia di possibilità davanti. Ero in paranoia esistenziale!
Un catalogo EF venne di nuovo in mio aiuto, proprio in questi momenti di panico. E questa volta non parlava di vacanze estive, nè di frequentare la high school americana...mi proponeva un anno di preparazione all'università all'estero! Il potere del marketing, eh?
E così ricominciò la trafila. Di nuovo, stavo per concretizzare qualcosa, stavo per partire. Ma poi niente...sulle mie innumerevoli paure (eh si, sempre così...io mi vorrei lanciare dalla vetta più alta, ma poi guardo giù, non vedo il fondo...e decido di scendere) si inserì anche la forza più potente della terra: un nuovo amore!

Che idiota mi direte. Sì, è vero. Però col senno di poi non mi pento di niente, ve lo giuro. Ho fatto le mie scelte, e tutte hanno avuto conseguenze importanti: non cambierei nulla. Il fatto è che quando ti innamori, specialmente se sei ancora piccola, tendi a pensare di aver trovato tutto. Sei felice, lui è perfetto, voi avete la storia dei sogni: perché andarsene? E d'improvviso, senza che nemmeno te ne accorgi, dimentichi quali erano i tuoi sogni...no, peggio...te li ricordi, ma non li senti più tuoi. Quando qualcuno te ne parla, ti racconta le sue esperienze, quelle che volevi fare tu, senti un brivido...ma non riesci a collegare la persona che eri e quella che sei. Ti manca un pezzo, e ti va bene così. Senza troppe domande.

Ma il tempo passa. A diciott'anni ti innamori e ti sembra non ci sia nient'altro, che non passerà mai, che il tempo a voi non farà niente. E fai rinunce, involontarie sì, ma sempre rinunce, che si vanno a sedimentare l'una sull'altra. Sposti pezzi della tua vita in funzione di lui, e lui fa lo stesso con te, e va bene così...ma poi un giorno ti accorgi di aver fatto troppo. Di esserti persa, di non riconoscerti più, perchè hai smesso di chiederti chi eri e cosa volevi per così tanto tempo, che te ne sei dimenticata. Ti accorgi semplicemente che sei qualcun altro.


Per certe persone può anche andare bene. Alcune mie amiche, che si sono fidanzate nel mio stesso periodo, hanno fatto il mio stesso percorso e sono felicissime. Non c'è niente di male, non sono nè sbagliata io, nè sono sbagliate loro. Tutto sta a vedere se le scelte che si decide di fare sono dettate dalla maturità della storia, o dalla sua immaturità.
Se scegli di aprire certe porte e di chiuderne altre perchè intimamente ti senti che sia giusto così, allora va bene.
Ma se scegli di non aprire più porte, di restare semplicemente ferma, per non rischiare di mettere alla prova l'amore, per non rischiare di dover ricominciare da capo, per non rischiare di perdere...allora ti autodistruggi. E la tua storia romantica diventa la tua prigione. E la tua immagine allo specchio diventa qualcosa di cui non vai più fiera. Un'immagine sfocata, un ricordo, un cumulo appannato di rimpianti.
Nella mia casa a Milano c'è un armadio enorme, bianco, a quattro ante. L'interno, nel corso degli anni, l'ho ricoperto di scritte colorate. Sogni, speranze, canzoni, frasi...tutto ciò che mi rappresentava finiva lì. Una in particolare mi ha sempre guidato nelle mie scelte, nel bene e nel male, facendomi fare anche tanti errori ma insegnandomi sempre qualcosa:

"Meglio Mille Rimorsi Che Cento Rimpianti..."

Si, perchè un rimorso è qualcosa che hai fatto, e che vorresti non fosse successo. E' quello che comunemente si chiama"errore", l'hai fatto, forse se potessi tornare indietro non lo faresti di nuovo, ma in realtà ti ha insegnato una lezione, e ti ha portato a qualcos'altro che, senza di esso, non avresti mai sperimentato. Ti ha reso quello che sei.
Un rimpianto, invece, è qualcosa di subdolo...avresti voluto farlo, ma non l'hai fatto. Rimane lì, così come era, un semplice dubbio, una possibilità. Poteva non essere niente, una botta nei denti, solo un errore...oppure poteva essere l'occasione della tua vita. Non lo saprai mai, e ti logorerà per sempre.

Ovviamente nella vita esistono entrambi, e non si possono evitare. Non puoi fare mille cose contemporaneamente, e ogni volta che fai una scelta tra più cose, si crea di conseguenza un possibile rimpianto. E' così, è la vita. Come si fa allora?
Secondo me il punto è avere solo rimpianti "positivi". Certe volte, scegli una cosa piuttosto che un'altra semplicemente perchè quella ti rende più felice. Forse è un errore, forse te ne pentirai, ma in quel momento, per quanto tu sia combattuta, sai dove si trova la tua felicità.
E' stato così quando ho dovuto scegliere tra l'amore e l'America. E' stato così quando ho deciso di venire a Urbino, piuttosto che da qualunque altra parte. E' stato così quando mi sono lasciata con il mio ragazzo, e ho deciso di tornarci insieme. Sono scelte, e ogni volta che scegli ti trovi davanti a due porte aperte: non puoi entrare in entrambe, e non puoi nemmeno tornare indietro una volta entrata a vedere cosa c'èera nell'altra. Devi solo fare un paio di calcoli e sperare di avere fortuna.
Qualunque porta tu scelga, stai sicuro: l'altra diventerà un rimpianto. E' così per forza, perchè non saprai mai cosa c'era dietro. Ma se in quel momento sei stato sincero con te stesso nel fare la tua scelta, allora era quella giusta. Era la scelta più giusta possibile.

A volte però, sbagli. Anzi, non è che sbagli, perchè in effetti non sai cosa avresti trovato dietro l'altra porta. Più che altro, ti rendi conto col passare del tempo che la tua scelta non basta. Non ti rende più felice come in quel momento. Diciamo che non ti rende INfelice, però non si è rivelata come la pensavi tu. E' lì che il rimpianto diventa un rimpianto "negativo"...ed è lì che inizia il logoramento.
Il momento della scelta però è andato, e non tornerà...allora aspetti, e aspetti, e aspetti. Aspetti un segno, un segno che non arriva.

Io ho fatto così. Ho aspettato a lungo, felice e infelice, realizzata ma alla ricerca di qualcosa...sull'onda di questo sentimento, che ormai periodicamente mi prende da anni come avete potuto leggere, ho trovato il solito stratagemma: mi son ritrovata in mano il bando di concorso per una borsa di studio, indovinate dove? Bravi! Negli Stati Uniti d'America. Erano solo 3 borse. Potevano prendermi, come potevano non prendermi. Avevo il TOEFL, come richiesto, ma non ero certo l'unica. E comunque, potevo sempre decidere dopo, no? Tentare non costava nulla.

Due mesi dopo, è arrivata la risposta. "Siamo lieti di comunicarle che le è stata assegnata una borsa di studio della durata di un semestre negli Stati Uniti".
Non sapevo cosa fare. Non l'avevo nemmeno detto al mio ragazzo. A malapena lo sapevano i miei che avevo fatto richiesta.
Tuttora non so che scelta ho fatto. Tuttora non so se sto realizzando un mio sogno, che avevo solo nascosto in fondo al cassetto, o se sto semplicemente fuggendo dalla mia vita e dalle mie responsabilità. Mi dico che questa cosa mi servirà...che mi insegnerà tante cose...che mi chiarirà le idee sul mio futuro...che non sto perdendo tempo (notare che io sono al terzo anno, potrei laurearmi a settembre e iniziare la magistrale con tempismo perfetto), ma che lo sto investendo per fare una scelta più consapevole dopo...

E' vero? O mi sto prendendo in giro? Non lo so, davvero, stavolta non lo so. So di essere molto brava a prendere in giro me stessa e gli altri, così brava che a volte non riesco più a distinguere dove finiscono le mie verità e dove iniziano le mie bugie...non lo faccio apposta, ma per coprirmi, per non essere giudicata, per non dover affrontare le mie debolezze, inizio a creare delle giustificazioni per gli altri che poi diventano valide anche per me stessa. E mi perdo nei labirinti della mia mente.

Non so questa volta quale opzione sia. O se sarà un rimpianto positivo o negativo...
Anzi, si lo so. Questa volta non sarà un rimpianto. Al massimo potrà trasformarsi in un rimorso...ma questa volta non mi tirerò indietro prima di scoprirlo. Il resto lo affronterò in seguito.


2 commenti:

  1. ciao ragazza con la valigia, anche se in ritardo congratulazioni per il nuovo blog!!!:) io non sono mai stata all'estero per un tempo tanto lungo ma sono lontana da casa ormai da anni e a causa degli studi torno raramente e per poco quindi posso capire l'insicurezza dovuta al fatto che vai in un luogo nuovo, completamente da sola, dove devi costruire tutto da zero, mattone dopo mattone e non sai nemmeno come è fatto un mattone!!Ciononostante, dopo l'esperienza della ragazza della nuova zelanda, dovresti essere ancora più motivata a continuare ad andare avanti e dovresti essere entusiasta di questa situazione. Gli U.S.A. e, un periodo di sano distacco dalle varie situazioni italiane,potrebbero essere un modo per farti scoprire lati del tuo carattere che nemmeno tu sai di conoscere e forse così trovare anche delle certezze nella tua vita....tu che ne pensi? :)

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  2. Ciao Litha! Grazie per aver scritto il primo commento al mio blog, mi sono emozionata :) si hai proprio ragione, sono spaventata come è normale davanti ad ogni cosa nuova, ma credo che l'unico modo per essere felici sia affrontare e superare i propri limiti...
    hai un blog anche tu giusto? Sono nuova dell'ambiente e un po' imbranata, e non riesco a vederlo dal tuo profilo!

    Ciao e grazie ancora per il tuo bel commento :)

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